『ムナーリの機械』の起源:漫画文化との関連を中心に

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  • L’ORIGINE DELLE MACCHINE DI MUNARI: L’ARTISTA E La VIGNETTA UMORISTICA
  • 『 ムナーリ ノ キカイ 』 ノ キゲン : マンガ ブンカ ト ノ カンレン オ チュウシン ニ

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抄録

<p>Le macchine di Munari, pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1942, è uno dei primi “libri per i bambini” di Bruno Munari (1907-1998). La caratteristica comune delle macchine inserite in questo albo è di essere costituite da meccanismi eccentrici e immaginari, che, non presentando alcuna utilità o praticità, invitano il lettore al sorriso. In realtà, già prima della pubblicazione dell’opera, l’artista aveva presentato alcune versioni delle macchine, in particolare in forma di vignetta, nel giornale umoristico settimanale Settebello (1933-1941), dal 1938 al 1939.</p><p>Come ammesso da Munari stesso, l’immagine delle sue macchine si ispirava al disegnatore, o, per essere precisi, “vignettista” umoristico statunitense Rube Goldberg (1893-1970), conosciuto come inventore della Rube Goldberg machine. La machine di Goldberg era infatti composta da un complesso meccanismo basato su una reazione a catena, ma in grado di fare soltanto una cosa banale e semplicissima. Dal 1912 il vignettista statunitense aveva cominciato a illustrare la serie di machine per la stampa, e la sua attività aveva suscitato l’attenzione di una parte del campo artistico del suo Paese (per es. di Marcel Duchamp e del Museum of Modern Art di New York). Certo nell’albo di Munari è possibile trovare indizi della conoscenza della Rube Goldberg machine, ma le macchine munariane contengono anche elementi che ne indicano l’originalità. In primo luogo la decisa negazione dell’utilitarismo della macchina in termini generali e il mancato utilizzo nell’illustrazione della macchina della reazione a catena, cioè l’elemento più caratterizzante della Goldberg machine. In altre parole, il “nonsense” delle macchine munariane appare sottolineata in modo più drastico.</p><p>Pur non dichiarando esplicitamente modi e tempi della conoscenza del lavoro di Goldberg, Munari aveva già presentato un prototipo di Macchine almeno in una pagina della rivista annuale non umoristica Almanacco letterario Bompiani del 1933.</p><p>Dal 1927 al 1937, Munari, seppure partecipe del movimento futurista italiano, non fu in grado di dedicarsi alla pura arte e, per guadagnarsi da vivere, dovette fare molte esperienze nel campo dell’editoria come vignettista o illustratore. A Milano, infatti, dove egli si trovava, stavano crescendo rapidamente alcuni grandi imprese editoriali come Bompiani o Mondadori.</p><p>Negli anni Trenta, intanto, fiorivano alcuni nuovi e popolarissimi giornali umoristici come Marc’Aurelio (1931-1958) o Bertoldo (1936-1943). La repressione esercitata sui giornali umoristici antifascisti negli anni Venti aveva vietato le vignette satiriche a tema generalmente politico e in questo clima gli umoristi professionisti, quando non favorevoli al regime, sottoposti alla censura e alla guida amministrativa, si trovavano a disegnare vignette che, attaccando Paesi stranieri come Francia, Inghilterra e Unione Sovietica, li dipingevano come nemici. Sotto questo aspetto, il concetto umoristico delle Macchine create da Munari non era si poneva in contrasto con il regime, ma piuttosto era neutrale rispetto alla linea politica.</p><p>La collaborazione di Munari al Settebello fu favorita da un abile dirigente della testata: Cesare Zavattini (1902-1989), uno dei grandi sceneggiatori del cinema neorealista dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questi, lavorando durante gli anni Trenta per varie case editrici milanesi in qualità di redattore e correttore di bozze, aveva incontrato Munari nella redazione dell’Almanacco letterario Bompiani. In quel periodo Zavattini era incaricato del progetto del Bertoldo per la Rizzoli, ma venne assunto dalla Mondadori per occuparsi della direzione di vari periodici dal 1936 in poi. Nel 1938, quando gli venne affidato l’incarico di caporedattore del Settebello, Zavattini chiamò Munari fra i giovani vignettisti e questo</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>

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